mercoledì 4 maggio 2011

IL MIO BLOG

Un blog serve ad esprimerti nella maniera che più preferisci, a me fa scrivere come non avevo fatto mai. Fa scrivere di me, per voi. Ma anche per me.
Da oggi darò me stesso al Blog facendo si che il mio pensiero viva in lui, giocando a scrivere la mia vita e renderla parte di qualcosa di più grande di me, di più bello.

Leggete gente, leggete e scaricate su di me ogni vostro commento,
che sia esso uno sputo o un complimento
una rosa o un coltello
ma leggete ed alleggeritemi
di questa vita, mio grande fardello.

***

mercoledì 20 aprile 2011

UN NUOVO MATTINO

I momenti felici prima o poi arrivano, è matematico, non può andare sempre male.
Cioè, io non ho mai chiesto niente di più all vita che un po' di tranquillità, un lavoro normale, con una normale retribuzione, un mutuo che alla fine di ogni mese mi aspetta puntuale portandosi dietro una scia di pensieri e problemi, ma anche una scritta: <<Stai costruendo qualcosa>>.
Quindi non credo di essere presuntuoso, non sono uno di quelli che non si accontentano mai, che alla fine del mese chiedono più di quello che meritano vantando fatiche da loro non sostenute, per gente di cui non gli importa niente!
Eppure la vita porta il conto a me! Ed è pure salato! Ogni volta che mi rialzo ripiombo nel baratro tirato a forza da un'entità che non si fa riconoscere, non vuole che io capisca chi ho davanti, altrimenti l'avrei già sconfitta da tempo.
Tornando a me, la gente dice che per chi ha sempre avuto tutto è difficile dare un valore alle cose.
Beh, non è vero cazzo! Io ho sempre avuto tutto! Una casa, un pasto caldo e soldi in tasca! I miei non mi hanno mai fatto mancare niente, ma forse proprio per questo ho capito che nella vita le cose te le devi guadagnare, lavorare per ottenere i tuoi risultati, da solo.
Quello che non ti sei guadagnato prima o poi non lo riconosci come tuo e lo trascuri. Il frutto della tua fatica, invece, è sempre più soddisfacente. Anche se non raggiunge in quantità quello che ti viene dato senza un motivo ha il potere di muoverti dentro l'animo, di emozionarti. Ti scorre nelle vene.
Che sia un lavoro, una casa o un amico, quello che ottieni grazie alla fatica rende la tua vita una tela e le tue capacità una tavolozza, attingi ad essa e traccia i contorni di una soddisfazione carica di vibrante fatica e sorrisi esausti. Perchè quando sarà di nuovo sera avrai un altro capolavoro e lo chiamerai giorno e lo aggiungerai agli altri che collezioni da una vita, notando che da un certo punto in poi le tele virano dal bianco opaco alla vivacità dei colori che ogni giorno tu hai scelto, passando per il nero dei tempi bui fino a sfociare nel rosso di un caldo tramonto passato con gli amici in un'estate che pareva finta per quanto ti sei divertito.
Ma ora ogni giorno si fa sempre più variopinto, le linee si assottigliano ed il tratto si fa più preciso, le tue mire si palesano in un lampo blu che taglia la tela da un'estremità all'altra, spostando l'attenzione sui risultati da conseguire.
Ora sei tu che guidi le tue capacità come la mano guida il pennello,tu dai un'impronta alla tua vita rendendola spciale ogni giorno di più, tu solo ritrai te stesso vincente sulla parte di te che non si muove.
Tu sei movimento, tu sei la guida di te stesso. Sei cambiato.
E ti piace.
Ed ora vestiti o farai tardi al lavoro!

---Vincenzo uscì dal bagno e si vestì.

mercoledì 9 marzo 2011

Il suo scopo

I suoi capelli erano sempre in perfetto ordine, neri, con i riflessi blu naturale del mare. Cadevano soffici lungo gli zigomi ad incorniciare due occhi ancor più neri, sovrastati da sopracciglia affusolate che ne cingevano il contorno donandogli un'espressione aggrottata, sempre pensierosa. Andavano poi a morire attorno alle sue labbra di rugiada, che tagliavano il viso da una parte all'altra in un sorriso appena accennato, insicuro.
A volte si riusciva addirittura a scorgere un accenno di dentatura tra quei petali turchesi, quando sbocciavano in una risata sincera. Subito dopo il viso si distendeva e, per un attimo, la sua pelle si mostrava liscia e bianca come se non avesse mai sofferto. L'attimo successivo una forza a lui superiore riportava alla memoria il passato e l'espressione si faceva scura, tornando a nascondere gli occhi sotto i capelli.
Abbandonò lo specchio e , come tutte le mattine, si vestì e si apprestò ad uscire.
Erano le 7.00 quando mise piede in strada portando a braccia la bicicletta oltre il piccolo gradino del portone del palazzo e vi salì in sella, verso il solito posto.
La città fremeva di vita come se non si fosse mai fermata, in effetti così era ogni giorno, la sua città non dormiva mai e questo lo rassicurava, perchè con la città sveglia lui poteva dormire protetto. Le paure di un uomo sono sempre in agguato dietro le porte del sonno e lui lo sapeva, troppe volte le aveva incontrate, troppe notti aveva perso per fuggire dai suoi mostri. Ma ora era in strada, parte di quella città, permettendo a chi per lui aveva vegliato di dormire finalmente al riparo dalle proprie paure.
Si era trovato così uno scopo per uscire di casa ogni mattina, per andare in ufficio e non pensare che il suo lavoro fosse inutile, lui serviva a qualcosa, A qualcuno. Questo gli scaldava il cuore ogni mattina e quando si svegliava gli dava la scarica necessaria a compiere il primo passo, a dire la prima parola, a battere il primo sangue.
Senza uno scopo non si può andare avanti e lui lo sapeva, per troppo tempo era rimasto chiuso a non pensare, ma ora era parte della società che aveva sempre rifiutato perchè non si fidava di se stesso, aveva paura di rovinarla o di esserne rovinato.
Anche oggi, quindi, si era alzato dal letto come tutte le mattine, aveva sorriso allo specchio per un momento, consapevole di avere un motivo per vivere e si era recato al lavoro con uno scopo, la cosa più preziosa che si possa avere.

mercoledì 2 marzo 2011

E L'ULTIMO CHIUDA LA PORTA

Il mondo intero è in rivolta, non la chiamano guerra per non spaventare i bambini a casa, colpa della fascia oraria. Ma si sa, la guerra non ha orario, persiste ventiquattr'ore su ventiquattro infischiandosene di chi la vede, sian furbi ocretini li fulmina. Tutti.
Ed ora in molte parti del mondo è subbuglio, moto, cambiamento, spesso violento. Perchè arrivati a questo punto di degrado solo questo si capisce, la violenza, quella che non guarda in faccia, quella che viene scatenata da "non-si-sa-chi" e che tutti seguono, rivolgendola al "cornuto", a colui che tutti ha soggiogato e shiavizzato per anni. Colui che da loro fu eletto o tacitamente accettato per tutti questi anni.
Finchè non si arriva all'esasperazione l'uomo non sente freno, non vede al di là di un domani troppo prossimo per poter pianificare un futuro migliore, sereno. L'Uomo incanta l'uomo col nome di Dio, promettendo protezione dal suo stesso creato, protezione senza senso che solo l'Uomo vedrà vincitore. L'Uomo vince, l'uomo perde.
Ma a volte il piccolo prende coscienza non dell'uno, ma del tutto, della società complessa e articolata di cui fa parte, quella che non sente l'Uomo. E tanti piccoli uomini un giorno formano una folla sempre più numerosa e tenace, con ideali in testa e voglia di cambiare.
Così come in una grande esplosione il Popolo erutta lasciando dietro di se una scia sì di morte, ma anche di speranza e decisione di volgere il viso al futuro che nessuno aveva mai ipotizzato, il futuro del Popolo, non dell'Uomo.
A questo punto la paura non si sente più e scatta quel meccanismo di tendenza alla sopravvivenza che ha salvato questa cieca razza in ogni occasione di difficoltà passata, e che tante altre volte la salverà.
E' iniziata la rivoluzione globale, per strada e sulla rete, il Popolo non è più Stato, ma uomo, non più soggetto alle leggi dell'Uomo ma a quelle della natura, della sopravvivenza. Si sente già l'odore di una nuova Primavera in quest'ultimo autunno di rivoluzione, si aspetta con l'Inverno negli occhi e la Primavera nel cuore, decisi a proseguire, consapevoli di voler cambiare l'ordine delle cose, per sempre, fino alla prossima Estate. Alchè si ricomincia.
***Il mondo è in rivolta, è il momento della svolta e l'ultimo chiuda la porta.***

martedì 15 febbraio 2011

L'ULTIMA CENA

Tu, sola davanti ad un armadio che si svuota sempre più ogni volta che lo guardi, che non ha più niente per te, nessuna soluzione al tuo senso di inadeguatezza dovuto poi a chissà cosa.
Sai solo che in questa stanza non c'è nessuno, e non sei nemmeno sicura che ci sia qualcuno in casa, in città.
E' tutto vuoto.
Le ultime parole che hai sentito da tua madre sono state: "mi fai stare male".
Avresti voluto risponderle, ma stavi troppo male.
Allora entri in camera e chiudi fuori tutto il resto, sai che non servirà a nulla, ma lo fai.
Sei convinta che una porta chiusa possa arginare gli attacchi di una vita non decisa da te, non te ne hanno dato il tempo, ma dentro sai altrettanto bene che tutto questo non si fermerà a quella porta.
La vita ti aspetta, con pazienza, ti lascia percorrere una rotta apparentemente scelta da te, per poi presentarti il conto, poco per volta, di modo che faccia abbastanza male da non farti vivere, mai abbastanza per morire.
Ti abbandoni ad un limbo infernale consapevole dei tuoi errori passati, ne hai fatti tanti, e aspetti che il prossimo colpo vada a segno.
Non muovi.
Sei in scacco per apatia, per mancanza di movimento.
Non cambi.
Se solo riuscissi a scegliere una giacca da mettere che stia bene col timore che hai di mettere piede fuori di casa: "Troppi errori, troppi!" - ti ripeti dentro.
Hai voglia di assaporare l'aria aperta, senti il bisogno di non cedere al terrore, ma vivere comporta commettere errori e tu non ne puoi più di sbagliare, non vuoi più pagare.
Tua madre ti chiama dal piano di sotto, è l'ora di cena.
"Un'altra giornata sprecata" - pensi. Senza aver visto i cambiamenti che il mondo ha subito oggi, senza che il mondo abbia potuto apprezzare la tua presenza, in fondo ti reputi simpatica, se non fosse che ti odi a tal punto da non permetterti di uscire avresti sicuramente molti amici.
Ma sei di nuovo li, è di nuovo ora di cena e nessuno oggi ti ha visto.
Batti a macchina una pagina di diario, i tuoi pensieri cominciano a diventare ridondanti, appaiono e riappaiono sulle pagine che scrivi sempre sotto forma diversa, ma con lo stesso significato.
Con voce strozzata ti lasci scappare un "Aiuto".
Ti riprendi.
Respiri a lungo e guardi la pistola di tuo padre.

Non è più ora di cena.

venerdì 11 febbraio 2011

RABBIA

La rabbia di un amante confonde gli sguardi, le parole, i respiri.
Odiare l'altro senza saperne il motivo, aggiungendo fuoco alle scintille, senza mai creare un punto di comunicazione.
Per non perdere lo smalto.
La luce non si riflette più negli occhi, attenuata da grida strozzate, ipossiche.
L'altro guarda, non capisce. Suda via poco a poco il perdono.
Altra goccia.
Esplode.
Le lacrime della perdita sono calde sulle guance, incolpano e tagliano, lasciando segni profondi nello spirito, pronti a sbocciare sotto un albero, in primavera.
Dannato, nega ora l'amante che ha perso.
Il vuoto di stima si colma  di Scotch ogni notte, per essere poi drenato il giorno dopo, piangendolo via.
La morte non è più attesa, ma miraggio.
Riecheggiano spari da una parte all'altra del cervello, la pioggia batte a macchina un requiem.
A questo punto è la fuga da se stessi, dalla vita.
Si cerca sempre di cambiare dopo un perdita, si cerca di uccidere la parte che ricorda.
Non si può però uccidere una parte di se stessi, i più la nascondono.
I più forti si sparano.
Estremo cambiamento.

giovedì 10 febbraio 2011

ALBAviolenta

Il sole nacque violento quella mattina, alle sei.
Lucio si svegliò per andare a lavorare più triste del solito.
Ventitre anni da buttare, passati senza senso, senza mai gioia vera o veri sentimenti provati.
Il nulla avanzava in lui come la sua punto nella periferia, un negativo nel portafogli gli ricordava qualcosa, anche lui sorrise un giorno.
Per un attimo solo.
Sorrise dentro l'anima guardando un'alba così.
Il sole era così tagliente da far male dietro gli occhi, da entrare con gli artigli nel cervello e strappargli un sorriso.
Girò per il mare che nemmeno se ne accorse, voleva tamponare il sole e piangere di felicità, fare incazzare Dio rubandogli un po di luce e continuare a ridere lasciandoci la pelle.
Felice.
Si riprese che era seduto sulla spiaggia rivolto al sole. La sigaretta, che gli aveva bruciato le dita, diceva che era passato molto tempo.
La sua alba violenta era finita da ore e il sole, alto, schiariva la bruma dipinta nei suoi occhi.
E si ritrovò a sorridere, di cuore, senza un motivo, o perlomeno senza un motivo che gli altri potessero capire.
se n'era andato, per poche ore non c'era stato più, Lucio, solo un cuore sorridente, felice di non esistere per un attimo.
Tornò alla macchina.
Purtroppo esisteva ancora.
Foto.