martedì 15 febbraio 2011

L'ULTIMA CENA

Tu, sola davanti ad un armadio che si svuota sempre più ogni volta che lo guardi, che non ha più niente per te, nessuna soluzione al tuo senso di inadeguatezza dovuto poi a chissà cosa.
Sai solo che in questa stanza non c'è nessuno, e non sei nemmeno sicura che ci sia qualcuno in casa, in città.
E' tutto vuoto.
Le ultime parole che hai sentito da tua madre sono state: "mi fai stare male".
Avresti voluto risponderle, ma stavi troppo male.
Allora entri in camera e chiudi fuori tutto il resto, sai che non servirà a nulla, ma lo fai.
Sei convinta che una porta chiusa possa arginare gli attacchi di una vita non decisa da te, non te ne hanno dato il tempo, ma dentro sai altrettanto bene che tutto questo non si fermerà a quella porta.
La vita ti aspetta, con pazienza, ti lascia percorrere una rotta apparentemente scelta da te, per poi presentarti il conto, poco per volta, di modo che faccia abbastanza male da non farti vivere, mai abbastanza per morire.
Ti abbandoni ad un limbo infernale consapevole dei tuoi errori passati, ne hai fatti tanti, e aspetti che il prossimo colpo vada a segno.
Non muovi.
Sei in scacco per apatia, per mancanza di movimento.
Non cambi.
Se solo riuscissi a scegliere una giacca da mettere che stia bene col timore che hai di mettere piede fuori di casa: "Troppi errori, troppi!" - ti ripeti dentro.
Hai voglia di assaporare l'aria aperta, senti il bisogno di non cedere al terrore, ma vivere comporta commettere errori e tu non ne puoi più di sbagliare, non vuoi più pagare.
Tua madre ti chiama dal piano di sotto, è l'ora di cena.
"Un'altra giornata sprecata" - pensi. Senza aver visto i cambiamenti che il mondo ha subito oggi, senza che il mondo abbia potuto apprezzare la tua presenza, in fondo ti reputi simpatica, se non fosse che ti odi a tal punto da non permetterti di uscire avresti sicuramente molti amici.
Ma sei di nuovo li, è di nuovo ora di cena e nessuno oggi ti ha visto.
Batti a macchina una pagina di diario, i tuoi pensieri cominciano a diventare ridondanti, appaiono e riappaiono sulle pagine che scrivi sempre sotto forma diversa, ma con lo stesso significato.
Con voce strozzata ti lasci scappare un "Aiuto".
Ti riprendi.
Respiri a lungo e guardi la pistola di tuo padre.

Non è più ora di cena.

venerdì 11 febbraio 2011

RABBIA

La rabbia di un amante confonde gli sguardi, le parole, i respiri.
Odiare l'altro senza saperne il motivo, aggiungendo fuoco alle scintille, senza mai creare un punto di comunicazione.
Per non perdere lo smalto.
La luce non si riflette più negli occhi, attenuata da grida strozzate, ipossiche.
L'altro guarda, non capisce. Suda via poco a poco il perdono.
Altra goccia.
Esplode.
Le lacrime della perdita sono calde sulle guance, incolpano e tagliano, lasciando segni profondi nello spirito, pronti a sbocciare sotto un albero, in primavera.
Dannato, nega ora l'amante che ha perso.
Il vuoto di stima si colma  di Scotch ogni notte, per essere poi drenato il giorno dopo, piangendolo via.
La morte non è più attesa, ma miraggio.
Riecheggiano spari da una parte all'altra del cervello, la pioggia batte a macchina un requiem.
A questo punto è la fuga da se stessi, dalla vita.
Si cerca sempre di cambiare dopo un perdita, si cerca di uccidere la parte che ricorda.
Non si può però uccidere una parte di se stessi, i più la nascondono.
I più forti si sparano.
Estremo cambiamento.

giovedì 10 febbraio 2011

ALBAviolenta

Il sole nacque violento quella mattina, alle sei.
Lucio si svegliò per andare a lavorare più triste del solito.
Ventitre anni da buttare, passati senza senso, senza mai gioia vera o veri sentimenti provati.
Il nulla avanzava in lui come la sua punto nella periferia, un negativo nel portafogli gli ricordava qualcosa, anche lui sorrise un giorno.
Per un attimo solo.
Sorrise dentro l'anima guardando un'alba così.
Il sole era così tagliente da far male dietro gli occhi, da entrare con gli artigli nel cervello e strappargli un sorriso.
Girò per il mare che nemmeno se ne accorse, voleva tamponare il sole e piangere di felicità, fare incazzare Dio rubandogli un po di luce e continuare a ridere lasciandoci la pelle.
Felice.
Si riprese che era seduto sulla spiaggia rivolto al sole. La sigaretta, che gli aveva bruciato le dita, diceva che era passato molto tempo.
La sua alba violenta era finita da ore e il sole, alto, schiariva la bruma dipinta nei suoi occhi.
E si ritrovò a sorridere, di cuore, senza un motivo, o perlomeno senza un motivo che gli altri potessero capire.
se n'era andato, per poche ore non c'era stato più, Lucio, solo un cuore sorridente, felice di non esistere per un attimo.
Tornò alla macchina.
Purtroppo esisteva ancora.
Foto.

LETTERA DI UN SUICIDA

Mia madre mi ha sempre insegnato a non chiedere mai scusa per le mie azioni quando sincere, di non pensare affatto alle condanne o alle conseguenze tristi a cui questo porterà.
Diranno che sei stato una canaglia, un dittatore, un presuntuoso, ma incoerente mai.
Avrai dalla tua parte amici veri e dall'altra vere sfide da affrontare con il cuore nelle mani.
Soltanto i più forti sanno sempre cosa dire innanzi al fato quando volge gli occhi in altre direzioni, io scrivo quel che avrei voluto dire per non esser sopraffatto dalla vita come la intendete voi.
Purtroppo non vedrò mai le stagioni trasformare i giorni in anni e il mio viso resterà giovane in eterno, senza più accusare affanni.
Purtroppo son già vecchio da vent'anni e per questo chiedo scusa perchè la forza di mentire non ce l'ho, su questo foglio lascio la mnia vita convinto come mai che lasciarvi non sarà cosa gradita.
Il tempo mi sarà debitore e debitore sarò io di un dolore che non meritaste mai.
Amici miei, compagni di risate, di poesie all'imbrunire, perdonatemi perchè domani non sarò più qui tra voi, vedrò il cielo sfumare, l'alba mi sarà complice di morte e non mi dovrò più scusare.

martedì 8 febbraio 2011

DOMENICA ALTRO TRENO

A volte ti incastri.
Entri in galleria, ne uscirai, questa montagna non può durare per sempre! Tutte le gallerie finiscono!
Questa no.
Passa quella che ti sembra la metà.
<<Da qui tutta discesa - dici - il peggio è passato.>>
<<Regionale per Ancona 240 minuti di ritardo?!>>
Potrebbe andare peggio? Si.
Leggo.
Mezza pagina, una rima, una sola.
Incastrato. Incastrato in una rima.
Provo a distogliere lo sguardo, ma..
<<Cazzo!! Sono io quello li dentro!!>>
<<Checcazzo ci faccio io in una rima?!>>
Chi è lo stronzo che ti ha preso la vita, ne ha fatto inchiostro e l'ha gettata su un foglio riassumendola in 12 parole?
<<Bastardo.>>
La tua birra non ti aiuta, ti strappa via da te, ti ha preso.
<<Diamine!!>>
Ora sei nello stesso scompartimento coi tuoi pensieri. Soli. Tu e loro.
<<Bastardi.>>
Cominciano a parlare troppo per i tuoi gusti. Un altro sorso, magari vanno via.
Il quaderno ti fissa.
<<Tu sai chi ha scritto quella rima, vero?>>
Ti sudano le mani.
<<Forse.>>
Veramente lo sai già, ma credi che sentirtelo dire farà più male.
Hai bisogno del dolore per sentire che ci sei. Le altre emozioni non attecchiscono più sulla pelle.
Ti risvegli dal torpore della neve in stazione.
L'annuncio.
<<......320 minuti di ritardo. Ci scusiamo per.....>>
<<Dannata neve! La adoro.>>
Metà birra.
Sei certo che questa finirà, e farà male. Le cose buone, quando finiscono, ti fanno male.
L'ultimo sorso è aspro, metallico, come per prepararti gradualmente ad un gradevole dolore, il tuo, quello di cui hai bisogno.
Torni al quaderno.
Girando pagina ti tagli un dito.
Torni indietro e Le chiedi scusa.
Lei ti vuole.
Tu vorresti solo andare avanti.
Quello che di te resta sulla carta, nero, ti vuole fermo, freddo, dolorante.
<<Bastardo.>>
E' la terza volta oggi che ti dai del bastardo e ogni volta eri una persona diversa. Te stesso, Scrittore di Te stesso e Lettore di Te stesso.

RIMINI
PESARO
FANO
SENIGALLIA

ANCONA.

Devi cambiare.
Vita o treno?
Esci dal vagone e i menoquattro si sentono gelidi ed insistenti su per le maniche.
E comunque ti sudano le mani.
Devi entrare in un altro treno, li almeno non ti vedi.
<<Chissà cosa si prova a farsi tagliare un braccio da un treno>> Ti chiedi.
<<Boh.>>
Sali.
Saluti Qualcuno, non lo rivedrai mai più.
<<Arrivederci.>>
Bugiardi!
<<Però era simpatico.>>

OSIMO
VARANO
LORETO.

Vai a casa.

Domenica altro treno.

8 ore

Il cambiamento spaventa chi riesce ad avvertirlo, nel silenzio lo tormenta, fino quasi a stordirlo.
Immobile cade a terra, chiude gli occhi e non pensa a come vincere la sua guerra.
Non si avverte la sua presenza.
Il mondo non lo capisce, lui non vuole essere capito, la sua mente lo ferisce, il suo corpo lo ha tradito.
Otto anni sono passati di vergogna e frustrazione, vissuti come ore, senza la minima reazione.
Ormai è sparito, è stato a galla fin troppo, alti e bassi lo hanno sfinito, il suo corpo si è distrutto.
Non c'è più quella speranza che lo faceva respirare, gli manca quella costanza capace di farlo galleggiare.
Il caso deciderà per lui, gli porterà un cambiamento onesto, nel momento in cui gli dirà che è troppo presto.
Nessuno lo noterà, nessuno vuol soffrire, questo lui lo sa.
Preferisce sparire.
Bastano otto ore per distruggere tutto.
Dopodiché è tutto più difficile.